Dove nasce l’orizzonte: i limiti come slancio verso ciò che siamo

Dove nasce l’orizzonte: i limiti come slancio verso ciò che siamo

Quante volte ci siamo sentiti bloccati? Fermi davanti a un ostacolo, visibile o invisibile, che ci faceva pensare di non poter andare oltre, di non essere abbastanza forti, abbastanza pronti, abbastanza liberi? Eppure, in quei momenti – proprio in quelli – può accadere qualcosa: può nascere una spinta, un’intuizione, una forma nuova di coraggio che ci obbliga a interrogarci su ciò che chiamiamo “limite”.

Non si tratta solo di una barriera, di un confine che ci separa da ciò che desideriamo, bensì è un luogo complesso, una soglia ambigua in cui si intrecciano le nostre paure più intime e le nostre possibilità più luminose. Marcello La Matina, docente di Semiotica e Filosofia del linguaggio all’Università di Macerata, lo dice chiaramente: “Ogni potenza si manifesta solo a partire da un limite. Senza limite, la potenza resta invisibile”. In queste parole c’è una verità che riguarda tutti noi e cioè che la forza che spesso cerchiamo fuori da noi stessi è in realtà già presente, ma ha bisogno di una resistenza per potersi rivelare. Ha bisogno di qualcosa che la costringa a uscire dal silenzio, a manifestarsi.

Viviamo in un mondo che ci illude di poter essere ovunque, fare tutto, superare ogni ostacolo con la velocità della tecnica e la leggerezza del virtuale. Eppure, questa sovranità apparente ci lascia più fragili, più confusi, più soli perché l’assenza di limiti non è libertà: è smarrimento. Sono proprio i contorni, le resistenze, le regole della realtà a dare forma alla nostra libertà.

I limiti sono personali, profondi, intimi, alcuni fisici, altri emotivi, altri ancora culturali o spirituali, ed in ognuno di essi si nasconde la possibilità di scoprirsi capaci di immaginare ciò che ancora non esiste, di scegliere una via che non era visibile prima. Leopardi, costretto su una collina, seppe vedere spazi sterminati che nessun altro avrebbe potuto scorgere. Salgari, confinato in una provincia italiana, viaggiò con la mente più lontano di molti esploratori. Non si tratta solo di superare un limite, ma di guardarlo in faccia e domandargli che cosa è venuto a insegnarci.

Questo richiede esercizio, non fuga. Un impegno costante, paziente, che ci allena a vedere ciò che altrimenti rimarrebbe celato nell’ombra dell’abitudine o della paura e che non è mai un gesto solitario, ma un atto che nasce nel silenzio interiore e si alimenta nella relazione, in un movimento che ci connette agli altri.

Nessuno cresce davvero da solo: ogni prova trova una forza diversa quando ci scopriamo parte di qualcosa, quando nello sguardo dell’altro riconosciamo non un giudice, ma un compagno, un riflesso, una promessa. A volte basta un abbraccio per trasformare il modo in cui percepiamo il limite: ciò che sembrava vuoto diventa pieno, ciò che faceva paura si fa spazio abitabile.

Anche il linguaggio, che crediamo ci appartenga, è in realtà un teatro collettivo, non è mai solo nostro. Parliamo con parole che ci sono state date, eppure, attraverso quelle stesse parole, possiamo trovare una voce nuova, una lingua che ci assomiglia di più. Riuscire a parlare da sé – non per differenziarsi dagli altri, bensì per incontrarli davvero – è una delle sfide più profonde della nostra crescita.

Cosa resta dell’umano nell’era della solitudine?

Una domanda profonda, introspettiva, che troverà risposta ad Asculum Festival insieme a Marcello La Matina, la cui riflessione filosofica troverà confronto con quella di Stefano Bartoli, psicologo e psicoterapeuta nonché direttore operativo del Centro di Terapia Strategica, fondato da Giorgio Nardone e Paul Watzlawick.

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