emozioni

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Informatica, distanza, tecnica.  Come si esprimono le emozioni nella nostra società?

La nostra quotidianità è permeata dell’esposizione alle emozioni. Ma come potremmo definirle? Come si sono modificate nel corso del tempo?

Partiamo da una definizione: cosa sono le emozioni?

Potremmo definirle come una risposta affettiva ad uno stimolo.

L’etimologia della parola è da ricercare nel latino ex-movere e ci aiuta a comprendere quanto le emozioni possano essere forze dinamiche che ci consentono di muoverci nel mondo secondo due pulsioni: una positiva, verso i piaceri, ed una oppositiva, verso i dispiaceri.

Se dovesse essere necessario spiegare le motivazioni di questa dicotomia basterebbe ricordare che il fine ultimo di ogni specie è sempre legato alla conservazione, alla sopravvivenza di sé stessa.

Limitandoci a questa definizione potremmo lasciare intendere che siamo esclusivamente guidati dalle emozioni. Sappiamo bene che non è così.

La comparsa della neocorteccia cerebrale, che è la sede della mente razionale, ci ha permesso di distinguerci dagli altri mammiferi, garantendo una mediazione tra “pancia e cervello”. Fondamentale.

Ma prima della comparsa della neocorteccia cerebrale?

Il cervello antico.

È una struttura primitiva, che abbiamo in comune con gli animali, che regola le funzioni vegetative fondamentali e dalla quale hanno origine e in cui sono radicate le emozioni naturali.

Le emozioni naturali emergono di fronte ad uno stimolo ambientale (come, ad esempio, una situazione di pericolo) o mentale (lo scaturire di un ricordo). Di fronte a questi stimoli abbiamo reazioni fisiologiche (sudorazione o respirazione), viscerali, espressive (mimica facciale) e psicologiche (riduzione autocontrollo, diminuzione della capacità critica).

Nel perimetro dell’attuale società, specialmente in relazione ai giovani, questa naturalezza emotiva è stata modificata. L’avvento e la prepotenza straripante del web 2.0 hanno inciso sulla traslazione dal piano naturale al piano “informatico” delle emozioni.

Spontaneamente verrebbe da chiedersi: con una riduzione drastica di questo vissuto, quanto ci rimane dentro? Cosa si sedimenta?

Torniamo un istante sulla natura delle emozioni.

Secondo il Professor Galimberti, psicologo e psicanalista, tra i più importanti accademici italiani, due sono le teorie che si contrappongono: quella innatista, facente capo a Darwin, e quella anti-innatista.

La prima ritiene che “le manifestazioni emotive siano residui di risposte un tempo funzionali al processo evolutivo” e quindi innate; la seconda si basa sulla constatazione che le emozioni hanno un diverso significato da cultura a cultura, da soggetto a soggetto, da momento a momento e quindi acquisite.

Sulla struttura delle emozioni, invece, c’è una certa congruenza delle posizioni.

Tre sono le fasi:

  • Percezione
  • Commento
  • Ammortizzamento

La percezione di una situazione produce ad una destabilizzazione che impedisce di generare un rapporto tra stimolo e risposta. Si può percepire una situazione istantaneamente o in differita ed in questo secondo caso la reazione è molto più forte e dura molto più a lungo. Possiamo affermare che non c’è percezione che non sia accompagnata da uno stato di emotività.

La fase del commento è caratterizzata dallo stato di tensione e di potenzialità. Tensione, perché privati degli abituali schemi di risposta ai quali facciamo ricorso, e potenzialità, per il nuovo campo di possibilità che si prospetta dinnanzi a noi.

La terza fase si caratterizza per l’entrata in gioco di quei meccanismi che ristrutturano il nostro schema di risposte che producono una certa distensione.

La terra sotto i nostri piedi è ancora particolarmente friabile ma abbiamo cominciato a piantare delle radici.

Ora che abbiamo provato a circoscrivere l’area delle definizioni, è necessario contestualizzare le emozioni in riferimento all’ambiente che viviamo.

Proviamo a rispondere al quesito che ci siamo posti: come si esprimono le emozioni nella nostra società?

Le emozioni, oggi, sono caratterizzate da alcune distorsioni spaventose dovute al fatto che viviamo nell’età della tecnica. Quando parliamo di tecnica non parliamo di prodotti tecnologici, di strumenti (come lo smartphone, il pc, l’automobile) ma di qualcosa con una portata maggiore.

È la forma più alta di razionalità che l’uomo ha raggiunto nel corso della storia.

Alla base della tecnica, dunque, c’è la razionalità, che la governa attraverso un funzionamento lineare: raggiungere il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi.

I valori, come parametri di riferimento, mutano: oggi rincorriamo la produttività, l’efficienza e la velocizzazione del tempo.

E i sentimenti, le emozioni, dove finiscono?

Nell’età della tecnica, sempre secondo Galimberti, finiscono il più possibile fuori gioco, mettendoci nella condizione di vivere in uno stato di schizofrenia funzionale.

Dal lunedì al venerdì abbiamo una funzione all’interno dell’apparato lavorativo, attenendoci a ciò che ci viene richiesto, mentre il sabato e la domenica coltiviamo i nostri interessi. Tutto si riduce ad una sorta di circolo ripetuto all’infinito.

Se eliminassimo i sentimenti saremmo funzionali al massimo: niente depressione, niente conflitti in contesti lavorativi e non, niente malumore.

Potremmo affermare che l’obiettivo finale della tecnica è quello di portarci alla sospensione o addirittura alla rimozione del coinvolgimento emotivo.

Ma l’uomo non è solo razionalità. Emozioni come il dolore, l’amore, l’immaginazione, la fantasia, il sogno, esprimono quell’irrazionalità che ci riporta in contatto con noi stessi e con ciò che ci circonda.

Freud insegna: il rimosso ritorna. Dunque?

Non possedere un sentimento che possa essere all’altezza dell’accadere tecnico ci porta ad una sorta di ritirata emotiva che si esprime nel “Io vivo in base a quello che sento”.

Questa è la forma concisa che utilizziamo per compensare la difficoltà ad esprimere le emozioni nell’età della tecnica.

È un’interpretazione che conduce ad una legittimazione della nostra posizione a discapito di quella degli altri.

Ragionare in questi termini ci porta a spezzare il legame sociale che abbiamo con gli altri e ci spinge ad assumere il nostro sentire come unica regola vigente.

Da un lato, la razionalità della tecnica che ci obbliga ad una sospensione della vita emotiva, dall’altro erigere il nostro sentimento ad unica legge regolatoria dell’agire.

Questo duplice scenario è ciò che il Professor Galimberti definisce ambivalenza emotiva.

L’informatica come incide sulle nostre emozioni?

Incide sul nostro modo di pensare e di sentire.

L’informatica funziona attraverso codici binari che semplificano notevolmente il nostro modo di articolare il pensiero. Sì o no? Bianco o nero? Giusto o sbagliato?

In una società lineare, come quella antica, potremmo anche sopravvivere; nella società complessa che abitiamo oggi, no. Per muoverci con giudizio in questo contesto attuale è necessario che il nostro cervello non sia abituato a ragionare per codici binari.

Il nostro modo di sentire è stato stravolto dall’informatica che ci permette di superare i limiti della nostra psiche.

Questi confini sono tracciati da un raggio d’azione che fa riferimento al mondo circostante.

Se siamo colpiti da un lutto personale soffriamo, se il lutto è di un lontano conoscente facciamo le condoglianze, se ci dicono che ogni cinque minuti una persona muore di fame nel mondo analizziamo questo dato come una semplice statistica. La nostra psiche non sente questo dolore, probabilmente anche per evitare di incappare nel grado di impotenza che ci affliggerebbe sapendo di non poter modificare le cose.

L’informatica contribuisce anche alla creazione di processi di de-realizzazione e de-socializzazione.

De-realizzazione di contesti. Oggi possiamo visitare un luogo nel mondo senza essere fisicamente lì.

De-socializzazione perché la distanza sociale è stata inventata dall’informatica. “Io parlo con uno schermo, non parlo con te. Parlo con te attraverso uno schermo. Non è la stessa cosa”.

Parleremo di emozioni, tecnica, informatica e molto altro con Umberto Galimberti, filosofo accademico e psicoanalista, il 16 settembre ad Ascoli Piceno in occasione della seconda edizione di Asculum Festival.

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